L’uomo di pietra
Vecchi conversano appesi alle reti
di orti minuti. Cespugli di more
anneriscono e pungono le dita.
Restano a guardia pochi fichi d’India
di uva che pare bagnarsi in mare.
Gli altoparlanti delle spiagge filtrano
nel fitto argento verde delle olive.
Volendo giungere in cima si deve
resistere a un’angoscia di cicale.
La teleferica in disuso cigola
e il vento che la dondola non è
che un fruscio di cinghiale fra ginepri
per metà rosi dal fuoco. Benché
d’agosto, il sole è tardo e poco. Eppure,
gramo e rosso, il sentiero è quello giusto.
Su terre alte ho deposto per te un sasso,
quel figlio al quale non daremo un nome.
Da qualche tempo vivo all’aria aperta,
senza contare i passi né parlare.
Nemmeno do calci a vuoti barattoli:
l’occhio mi rotola in nascondigli
o sale oltre la chioma delle nuvole
e la mente si stende bianca al sole.
Maurizio Paganelli
Milano
1° classificato, 2014
Polvere e luce
Potessi avere un soffio di quel tempo,
non so se esiste un modo per trovarlo,
la nostra stirpe ha avuto terre e rovi
e il grido dell’inverno e delle ortiche.
Quanto dolore agli equinozi antichi.
Altre lune ci attendono, altri esi^li.
Anche i tralci conservano memoria
dei nostri viaggi. Ed ogni viaggio è sempre
meraviglia di luoghi e amaro calice
d’insonni solitudini.
A noi tocca
il bianco dipanarsi dei tramonti,
non conosciamo il grillo delle stoppie
né il vento dei papaveri sul grano.
Polvere e luce siamo. Il tempo è breve
per ritrovare un po’ di quelle corse,
le voci delle case a cui affidammo
fionde di legno e trottole scheggiate.
Come uccelli sospinti dalle brezze
varcammo cieli.
Oggi si piega il corpo
come un fuscello al grido della terra.
E ci troviamo a vivere i solstizi
dietro i vetri ragnati dal silenzio.
Sia ancora lungo il filo da filare.
L’inverno ci accompagna verso il sole
per quanto tempo ancora non sappiamo.
E ci somiglia l’acqua della pioggia
che gioca sulle foglie già arrossate
e ricade dolcissima sul viso.
Giovanni Caso
Siano (Salerno)
2° classificato, 2014
Il non dell’ultimo minuto
Che cose della vita porterei
se potessi con me nel mio ultimo viaggio
per salvarle da un calcinante oblio?...
Fernando Bandini, Latte che trabocca
(Vicenza 1931 – 2013)
Dovrò partire con la valigia vuota,
con tanti non per fare posto ad altro,
e, a che altro, neppure saprei dire.
Non porterò con me i troppi malanni,
non serviranno raccomandazioni,
né la monetina,
come viatico per l’aldilà.
Certo, perderò la mia cioccolata,
con altre inestimabili dolcezze:
la pansé sul balcone
e, dietro i vetri, la vecchia orchidea.
Inutile soffrire di mancanze:
le poche carabattole,
disordinate adesso nei cassetti,
lascio alla polvere, ma
chi mi vuol bene infili di soppiatto
nella tasca dell’ultimo vestito
pochi versi di Saffo
e un inutile fiore.
Non si può mai sapere.
È compito d’amore
Esaudire le voglie dell’amato.
Anna E. De Gregorio
Ancona
3° classificato, 2014
E come posso canto
Sarò per te lucerna,
ché tu non resti al buio e nel mistero,
madre mia persa in musica e nei sogni,
dietro un sipario di discorsi astrusi
appena dispiegati nel tuo canto
su note e accordi quasi da bambina.
Sarò per te spartito,
che sveli in mezzo al rigo il tuo sussurro
e poi scandisca esatta la sciaràda
del vago tuo procedere a ritroso.
Sarò per te profumo
di lavanda, di fiordalisi e viole
nei prati verdi azzurri sterminati,
che tanto ti piacevano e cantavi.
Aroma sarò per te
di pomodoro fresco e melanzane,
ché amavi molto pure cucinare
per noi capretti sporchi ed affamati
tornati a sera stanchi dalle selve.
E ci suonavi poi con note arcane
arie moderne, allegre, o di Chopin.
Pareva il fuoco scoppiettare a tempo.
Ma ora, sai, sorrido,
anche se gli occhi tracimano di pianto.
Seduto al piano che tu m’hai lasciato,
lieve lo suono e come posso canto,
su accordi che ricordano il passato.
Canzoni che m’invento sul momento,
a volte liete, a volte un po’ più tristi,
che tanto rassomigliano alle tue.
Sergio Balestra
Sant’Orsola (Trento)
Segnalato, 2014
Ritorno
Ma dove finiva il tormento
dei miei passoi di bambina
allunata dal treno ansimante
sulla plaga deserta – il ritorno
alla casa sospirata, la guerra finita
ma era finita?
Cercavo nel mare di sassi
la casa del gelataio
e tutto vedevo sepolto
in uniforme ammasso di vite
e di coni traboccanti di crema e cioccolato.
E la signora Giulia, dov’era?
Dal suo negozio odoroso di pane
era forse volata via, angelo bianco
nel suo grembiule e nelle ondine dei capelli?
Oh, che silenzio nelle vie deserte
nessuna voce né rumore
muto l’organo ferito
le campane oscillavano lente la sera
in tristi rintocchi per i morti
e per i vivi nelle case dai vetri rotti.
Francesca Candotti De Guido
Brindisi
Segnalato, 2014
I bimbi di Collegno
E mentre il mondo dell’economia
decide quante teste far saltare,
nei disegni dei bimbi, tutti neri,
sbocciano tulipani di tristezza:
dal ventre delle nuvole in tempesta,
cade una pioggia scrosciante di pianto,
su bocche storte come archi di luna
s’aprono ombrelli al posto dei sorrisi.
Nei disegni dei bimbi di Collegno
non c’è traccia di gioia, né di giochi,
sui fogli bianchi solo mani strette,
ritratti di famiglie senza sfondo
e strade disegnate maalamente
piene di curve e spesso cieche agli angoli…
di tanto in tanto, quasi come un lampo,
fiorisce, rosso, uno sfregio di rabbia.
Dentro una palla di vetro, la fabbrica
dorme stregata il suo sonno di polvere
dove la neve è una danza di viti
zigrinate, pesanti come piombo,
dove anche il cuore cade sulla terra
e la cassetta degli attrezzi aperta
non serve a sigillarne le ferite.
Nei disegni, la storia dei papà
rimasti senza lavoro sicuro
diventa filo conduttore, simbolo
d’un mondo senza viti che va a pezzi…
e quando le matite colorate
saranno consumate fino all’osso
anche la loro voce sparirà,
cadrà come una stella dal disegno.
Barbara Cannetti
Corlo (Ferrara)
Segnalato, 2014
La farfalla rossa (Palestina 1957)
E li ricordo ancora i passi incerti di Amal quel giorno nel prato del diavolo
il rossore del viso
le fioriture mosse dal vento
il paesaggio che ritornava, ricopiato sull’erba bruciata
il giallo ed il nero
ed il merlo assetato, l’inganno di una luce lontana
una rosa purpurea che sbocciava in estate nel campo di grano assolato
e li ricordo i battiti del mio cuore impazzito
il suo sorriso che volava nel cielo bruciato
la farfalla rossa che scivolava nel fuoco
ed il lampo, il fumo, un argento di fiamma
il volo del moscone dorato
il fiore di sangue che sbocciava sull’abitino attillato
era morto anche il sole
insieme alle ombre, alle vene di foglia
ai passi corti di Amal svaniti nel nulla
si stemperavano arrese in un vortice
le sue corse tra i sassi del fiume
il suo odore di latte e di buono
le sue manine paffute, i suoi gesti rimasti incompiuti.
E poi ricordo solo mio padre, le ciglia bagnate di lacrime
l’asino col carro di aranci
il vento tra i rami del mandorlo
il bollitore sul fuoco prima delle urla ed il dolore
il flagello del sole
e la vita che se ne andava lontano
in quel silenzio di morte che galleggiava nel prima e nel dopo.
C’erano solo soldati d’intorno
i fucili alla mano, gli elmetti d’acciaio
i loro ordini sul campo di filo spinato
i delitti atroci compiuti da loro e dai loro antenati
e c’era una pena da portare nelle tasche bucate
senza poi farci caso
senza fermarsi
perché tutto accadeva in silenzio
per noi che non avevamo passato e nessuna pietanza sul fuoco.
Tiziana Monari
Prato
Segnalato, 2014